Opere

The garden of banes (My body is a plant)

Elisa Strinna

The Garden of Banes (Il Giardino dei Veleni) è un’installazione ambientale site-specific che indaga l’interazione tra il corpo umano e alcune piante dalle proprietà medicinali, la cui storia è legata alla discriminazione delle donne in Europa durante l’Inquisizione. L’installazione consiste di due sculture in cemento, circondate da alcune specie botaniche, spesso citate nei verbali dei processi alle streghe: Papaver somniferum, Hyoscyamus niger, Datura stramonium, Atropa belladonna, Laburnum alpinum, Ruta graveolens, Helleborus Bocconei. Queste piante hanno una triplice funzione, sono velenose, allucinogene e curative. Per queste loro caratteristiche, sono state, sin dall’antichità, utilizzate in campo medico ma anche legate a pratiche spirituali e divinatorie in relazione ai culti misterici.

Richiamando parti del sistema nervoso periferico del corpo umano, gli interventi scultorei alludono al percorso attraverso cui i principi attivi delle piante raggiungono i diversi organi del corpo con cui interagiscono. 

Espandendo la ricerca avviata durante “documenta fifteen” con My Body is A Plant, con questo “giardino dei veleni” Elisa Strinna esplora i tabù associati all’antica arte della guarigione, affrontando la percezione dei termini “veleno” e “magia” in un contesto specifico, l’Italia meridionale, in cui conoscenze arcaiche e moderne si intersecano.

Low-Voltage Communication

Giulio Saverio Rossi

Low-voltage communication riflette sulla presenza degli alberi all’interno del contesto naturale del parco, focalizzandosi sul loro modo di comunicare attraverso la trasmissione di impulsi elettrici a basso voltaggio che si propagano per mezzo delle radici e del terreno.

Diversi fasci di rame connettono tra di loro tre alberi del parco, generando, tramite un materiale elettro conduttore, una rete che contribuisce a sua volta alla trasmissione delle informazioni da un albero all’altro. I fili si raccordano al di sotto di un disco nero in cemento, grafite e resina, che simboleggia un incontro e, per mezzo della sua riflettenza, genera uno specchio e una visione invertita dei valori cromatici, rimandando ai dispositivi ottici in voga nella pittura di paesaggio legata al pittoresco e alla tematica della narrazione del viaggio cui allude anche l’utilizzo della grafite, come materiale legato alla rappresentazione grafica e al disegno.

I fili di rame, richiamano a loro volta l’origine della pratica narrativa, intesa come trama e intreccio.

Time Cutouts

Rachele Maistrello

Frammenti permanenti di uno spazio in continua evoluzione, ritagli di momenti destinati a cambiare e mai ripetersi, queste sagome hanno data di inizio ma non di fine, sono effigi di attimi, nei quali la temporalità non è che è un momento casuale di tanti altri che gli sono preceduti e che verranno.

In questi segmenti di paesaggio in evoluzione, il fiore, la corteccia, l’erba esistono per sempre e già non esistono più, non c’è fine perché tutto coesiste, torna, si ripete. Come quando ci si immagina l’estate in inverno.

Rachele Maistrello utilizza la fotografia per indagare il concetto di monumento, ponendo la sua attenzione sulla meraviglia dell’ambiente naturale, estraendo una frazione generica dal continuo flusso temporale, per affermare l’importanza di ogni istante.

Parti di un collage in dimensioni reali, questi ritagli interagiscono con il parco e coinvolgono lo spettatore in una instabile ricerca di corrispondenze tra passato e presente. 

Se nella forma le opere sembrano calligrafie, che riportano all’uomo e alla sua manualità, nell`interazione con lo spazio realizzano una successione di anomalie visive che ricordano i glitch digitali.

Time Cutouts è un progetto in divenire, che si comporrá seguendo il corso delle stagioni nell’arco di un anno.

Control Beam

Stefan Alber

Stefan Alber indaga i processi produttivi alla base della tipografia, concentrandosi su un elemento letteralmente marginale. Questo spettro di colori, numeri e segni, presente sui prodotti stampati non finiti, è uno scarto tecnico della produzione, che permette di controllare la qualità di stampa e può essere inteso come un codice interno dell´azienda. 

L’artista trasporta questo elemento nel parco, trasformandolo in un oggetto sovradimensionato, il cui design tecnico si contrappone al linguaggio organico dell’ambiente naturale e floreale. Attraverso questo intervento la scultura diventa un dispositivo di misurazione e il Parco un elemento da decifrare, in una sovrapposizione che interroga le nostre abitudini di visione e la produzione di immagini. Se l’immagine del parco è creata nell’occhio di chi guarda dalla sovrapposizione di raggi di luce rossa, verde e blu, la produzione della scultura è il risultato dell’applicazione di ciano, magenta, giallo e nero (CMYK). Consapevole che il suo intervento sia una delle prime opere del Parco, Stefan Alber installa un dispositivo di assistenza, che può essere utilizzato per accordarsi con uno spettro di colori in continua mutazione.

Il mistero della giostra miniata

Simone Carraro

Nel mondo antico, il rapporto tra l’uomo e l’ambiente che lo circonda, va oltre l’esperienza quotidiana di osservazione oggettiva dei fenomeni e sfruttamento delle risorse. Ogni pianta, animale, torrente o crepaccio partecipano a un’interpretazione spirituale del mondo. A ogni elemento del paesaggio vengono attribuiti duplici significati. Gli animali cambiano forma, le piante hanno funzioni curative e magiche, le rocce, i boschi e gli anfratti sono popolati da orchi, fate e lupi mannari.

Questa dualità del paesaggio è alla base dell’opera. Partendo dalle leggende popolari calabresi l’artista compone una enciclopedia miniata, in cui, a un paesaggio diurno, scandito dalle stagioni e dal lavoro nei campi, corrisponde una controparte notturna, dove uomini e animali danzano attorno al fuoco, mentre risuonano i tamburi e le innocenti creature del giorno si trasformano in esseri surreali e ambigui.

Telaio

Andrea Canepa

Quando pensiamo alle origini della scrittura e alle prime registrazioni di dati, raramente consideriamo il tessuto come uno dei più antichi supporti. Eppure il rapporto tra tessuto e informazione è sempre stato profondamente intrecciato.

In culture come quella andina, le informazioni venivano registrate attraverso il quipu, un sistema di nodi sui fili, mentre l’intricato intreccio di ordito e trama sui telai codificava il significato nella struttura stessa del tessuto. Nella mitologia greco-romana, i telai appaiono come strumenti per registrare le storie, come nel racconto di Filomela, che, incapace di parlare, usava il telaio come voce, tessendo la sua storia nel tessuto. In Calabria, durante il periodo della Magna Grecia, la tessitura iniziò con telai verticali messi in tensione da pietre. Nel folklore calabrese i telai sono spesso legati alle leggende delle fate, come quella che narra di una grande roccia quadrata, la pietra dei Pizzi, al cui interno, le fate tessevano, illuminate dalle foglie dorate dei pioppi. 

L’opera immagina il telaio sia come una potenziale superficie per registrare informazioni, un foglio bianco, sia come un portale che collega al mondo delle leggende calabresi. Posizionato vicino a un pioppo, invita le fate a tornare e a continuare a tessere le loro storie, fondendo l’atto del raccontare con l’antico mestiere della creazione tessile.